IL DEBITO PUBBLICO, LA GOVERNANCE EUROPEA E LA CRESCITA ECONOMICA
In premessa desidero che leggiate quest’articolo, non per me! Fatelo per voi. Così sarete maggiormente consapevole della situazione economica italiana. Può anche essere utile agli elettori, in vista dell’elezioni politiche che si teranno il quattro marzo. Infatti, il cittadino può essere più consapevole e comprendere, ulteriormente, quali delle forze politiche, in analisi dei loro programmi politici, si battono per il bene del Paese. Inoltre, è importante capire se, dai loro programmi, le promesse elettorali possano essere sostenibili, adeguate e razionali per l’Italia, in vista del quadro economico che nell’articolo viene illustrato e suffragato da dati statistici e reali.
L’Italia negli anni 70/80 fu colpita da un complesso problema economico: la stagflazione. Come sappiamo tale problema contrastava nettamente con la curva di Phillips (relazione inversa tra il tasso d’inflazione e il tasso di disoccupazione) negli anni 70 avvenne il contrario.
Le ricerche empiriche dei dati statistici in Germania e in Gran Bretagna che giustificavano la validità della curva di Phillips, quest’ultima, era contestata e smentita da un gruppo di economisti capeggiati da Milton Friedman. I quali ritenevano necessario un ritorno verso politiche economiche non interventiste, ma a favore di un incremento del libero mercato.
In Italia, per ragioni strettamente di opportunità politiche, si scelse di combattere, in modo prioritario la disoccupazione, trascurando l’inflazione. Da questa scelta furono effettuate forte politiche espansive di bilancio, causando una serie di deficit su deficit creando così, il progressivo e inarrestabile debito pubblico (per l’eccessiva, e se vogliamo errata, spesa pubblica idonea ad accontentare principalmente l’elettorato e marginalmente a far fronte in maniera corretta agli obiettivi di politica economica).
Tuttavia, il legislatore ordinario, nel 1978, emanò la l. 468 detta (legge finanziaria oggi denominata legge di stabilità). Quest’ultima era stata pensata allo scopo di arginare e stabilizzare in qualche modo i conti della finanza pubblica. Infatti, la legge nell’articolo uno stabiliva il totale indebitamento per gli obiettivi di politica economica e dava la possibilità di attuare una correzione attraverso la manovra di bilancio e prevedeva che l’aumento della spesa pubblica doveva essere coperto attraverso due fonti:
- maggiori imposte;
- Indebitamento (emissione di titoli del debito pubblico) con il vincolo di non superare l’obiettivo di politica economica prefissato.
Tutti i tentativi posti dal legislatore ordinario furono vani e, per ragioni di elettorato, il debito pubblico continuò ad aumentare. Tuttavia, si cercò di compiere un passo ulteriore, per frenare in qualche modo l’ascesa del debito pubblico, attraverso un’altra legge ordinaria, varata nel 1988 (l.263) che introduceva il Dpef dove era fissato il valore del disavanzo.
È opportuno ricordare che, se da un lato si era attenuato il fenomeno della disoccupazione (precisando che eravamo e siamo uno degli Stati europei a più bassa occupazione, dovuto principalmente al basso ingresso delle donne e al ritardo dei giovani nel mercato del lavoro) l’inflazione era altissima. Le cose cambiarono non per ragioni interne, ma soprattutto per ragioni esterne che ora cerchiamo di chiarire.
Nel 1992 con il Trattato di Maastricht, per contenere il debito pubblico e poter far ingresso degli Stati nell’euro, sono stati fissati, dal Trattato, due parametri:
- Il deficit non può superare il 3% del Pil;
- Il debito pubblico deve essere contenuto nella soglia del 60% del Pil.
L’Italia nel 1995 dichiara di voler far parte della moneta unica. Da questa dichiarazione accadono due cose fondamentali per l’economia italiana, dimostrati da ogni dato statistico:
- diminuzione dell’inflazione;
- diminuzione del debito pubblico.
Infatti, di queste due aspetti economici, l’Italia nel 1998 riesce a raggiungere solo il primo parametro, mentre per quanto concerne il secondo parametro riesce ad abbassare il debito pubblico fino ad arrivare alla soglia del 100% del Pil, ma rimane distante dal 60%. Questa forte riduzione del debito pubblico passa sostanzialmente da due vie: la stagione delle privatizzazioni e l’inizio dei tagli della spesa pubblica. Tuttavia, la Commissione europea, visti i progressi compiuti, permise all’Italia di far parte dell’euro a condizione che continuasse il cammino verso l’abbattimento del debito pubblico.
Si parla tanto del cosiddetto dividendo di Maastricht. L’Italia ha beneficiato?
“Sì! Il vantaggio, in termini economici, c’è stato, grazie all’adesione all’euro”.
Perché?
“L’Italia iniziò a ridurre l’inflazione, ma soprattutto ridusse la spesa per gli interessi dal 1995, non appena annunciò il suo ingresso nell’unione monetaria. Infatti, il tasso d’interesse, da quel momento, diminuì rapidamente e poi progressivamente fino al 2008. Ciò permise all’Italia non solo di contenere l’inflazione a livelli molto bassi, ma di pagare, sull’enorme debito pubblico, interesse a basso tasso”.
Che cosa accadde nella prima crisi del 2008/2009?
“Come noto l’Italia riportò una forte caduta del Pil. Ciò, di conseguenza, causò un innalzamento del debito pubblico, dovuto: alle minor entrate pubbliche, congiuntamente aumentò la disoccupazione e tanti lavoratori che avevano perso il lavoro fecero ricorso, massicciamente, all’uso degli ammortizzatori sociali e aumentarono così i trasferimenti.
Inoltre, è opportuno precisare che la percentuale del debito pubblico è data dal rapporto tra debito /Pil. Se il denominatore diminuisce e cresce pure il numeratore, di conseguenza la percentuale del debito pubblico aumenta. Da questa particolare situazione, l’Italia apparve in difficoltà agli occhi degli operatori internazionali.
Questo permise di mettere in moto il meccanismo del cosiddetto "spread" che portò verso a un’inversione di marcia del tasso d’interesse, che ritornò a risalire, dopo la lunga discesa (1995-2008), peggiorando, ulteriormente, la posizione del debito pubblico italiano”.
Gli anni del 2010/2011 segnarono nel nostro Paese una debole ripresa, invece nel 2012/2013 si propagò la seconda crisi (il “double dip”). Qual è stata la causa che ha portato l’economia italiana a questa seconda ricaduta?
“Per causa della crisi dei debiti sovrani. Ciò ha portato a un improvviso aumento del tasso d’interesse e di conseguenza l’onere degli interessi ha inciso pesantemente sull’aumento del debito pubblico, soprattutto in quei paesi che, come l’Italia, avevano un alto debito pubblico, rendendoli vulnerabili a forti speculazioni finanziarie. Non dimentichiamo che quando cresce il tasso d’interesse diminuiscono gli investimenti e ciò porta verso un’ulteriore caduta della domanda aggregata e ovviamente decresce il Pil.
Inoltre, non potendo disporre di una propria politica monetaria, l’Italia ha dovuto correre ai ripari esercitando politiche di bilancio di tipo restrittive (in una fase recessiva del ciclo economico). Quest'ultime, Imposte sia dalla situazione contingente, sia dalla politica di austerità molto voluta dall’UE, ovvero patti sempre più stringenti che miravano a ridurre la spesa pubblica e addirittura tentavano di creare forme di consolidamento fiscale nei bilanci pubblici.
Questo allo scopo di mettere al riparo i conti del Paese ed evitare un dissesto della finanza pubblica che, eventualmente, avrebbe potuto portare verso un default dello Stato italiano”.
In merito alla crisi dei debiti sovrani nell’area euro, è interessante far riferimento alla registrazione video e alle diapositiva, pag.24-37, del professore Andrea Boitani (“Euro ed Europa”, 17-02-2015) al seguente sito:
Tra il 2011 e il 2013 l’Italia ha eseguito la riduzione del debito pubblico, ma quale via ha intrapreso? Il taglio della spesa pubblica o l’aumento del prelievo fiscale?
“Per rispondere a questa domanda si propone il seguente grafico:
è evidente che l’Italia, a differenza della Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, Francia e la Gran Bretagna, anziché fare uno sforzo tagliando la spesa pubblica, ha deciso di aumentare le entrate tributarie. Ciò è avvenuto con la manovra d’estate 2011 del governo Berlusconi e confermata dal governo Monti nell’autunno-inverno 2011; non saprei, sinceramente, se fa più male l’austerità dal lato del taglio della spesa oppure l’aumento dei tributi.
Come menzionato prima, nella fase avversa del ciclo economico non si devono fare politiche opposte da quelle previste dalla teoria economica, mentre per l’opportunità politica, in termini elettorali, lascio a voi la riflessione”.
L’intervento finanziario dell’euro sistema a chi ha avvantaggiato?
“È giusto precisare che l’intervento dell’euro sistema c’è stato, durante le crisi, ma è stato molto tardivo. Come sappiamo, ha immesso enormi quantitativi di liquidità. Per lo più hanno beneficiato i paesi che hanno disposto a dei salvataggi bancari, invece l’Italia non ha fatto ricorso. Ecco perché è aumentato il debito pubblico della Germania in valore assoluto e anche in rapporto al Pil.
Quest’ultima, infatti, tra il 2008 e il 2015 ha messo in atto consistenti salvataggi all’interno del proprio sistema bancario e con essa la Francia e altri Paesi europei. Per questo, soprattutto, e anche per altri fattori è aumentato il debito pubblico in Europa. Invece l’Italia non avendo effettuato alcun salvataggio bancario, ha visto aumentare il proprio debito pubblico, in valore assoluto e anche in rapporto al Pil, prevalentemente per gli oneri degli interessi, legati al massiccio debito pubblico che aveva e che ha.
Infatti, con l’ allargarsi, fortemente, della forbice dello spread, soprattutto tra il 2011 e il 2012, l’Italia ha dovuto sborsare ingenti somme d’interesse, a chi finanziava l’acquisto dei titoli di Stato, accrescendo, così, il debito pubblico”.
Qual è stato il motivo che ha ridotto massicciamente lo spread?
“Lo spread ha subito un’inversione di tendenza dallo storico e famoso discorso di Mario Draghi a Londra, 27 luglio 2012, annunciando la seguente frase: “Siamo pronti a fare tutto per salvare l’EURO e nessun Paese uscirà dall’Eurozona.” Riuscendo, così, a dissipare le tensioni, il panico, l’incertezza e contemporaneamente a rassicurare gli operatori internazionali.
Quest’ultimi riacquisita la fiducia, soprattutto su quei paesi che, come l’Italia, avevano e hanno un eccessivo debito pubblico, hanno ripreso ad acquistare i titoli del debito pubblico dei paesi a rischio e di conseguenza lo spread è sceso rapidamente".
La BCE ha attuato una politica monetaria ultra espansiva, il famoso QE, perché?
"La BCE vista la situazione, nell’eurozona, di una quasi deflazione (come noto, da regola dal Trattato UE, tale Istituzione monetaria ha il compito di intervenire, attraverso la politica monetaria espansiva/recessiva, per stabilizzare i prezzi nella soglia dell’inflazione del 2%) è intervenuta con una politica monetaria ultra espansiva (il governatore Mario draghi, il 22 gennaio del 2015, ha annunciato di voler acquistare, da marzo 2015 per un anno, poi prorogato per un altro anno, il debito pubblico dei Paesi dell’Eurozona per un ammontare mensile di sessanta miliardi.
Dopo, con il solo voto contrario della Germania, da marzo 2017 tale limite è stato innalzato a ottanta miliardi, ovviamente l’acquisto è in proporzione alle quote di capitale sociale della BCE, in possesso delle Banche centrali dei paesi membri. Tutto ciò, perché l’inflazione era ed è al disotto del 2%, infatti, nel 2017 non è arrivata a tale soglia e nemmeno nei prossimi tre anni, da previsione della Banca d'Italia).
Dopo, con il solo voto contrario della Germania, da marzo 2017 tale limite è stato innalzato a ottanta miliardi, ovviamente l’acquisto è in proporzione alle quote di capitale sociale della BCE, in possesso delle Banche centrali dei paesi membri. Tutto ciò, perché l’inflazione era ed è al disotto del 2%, infatti, nel 2017 non è arrivata a tale soglia e nemmeno nei prossimi tre anni, da previsione della Banca d'Italia).
Il famoso quantitative easing, in gergo economico, corrisponde a operazione di mercato aperto, ovvero acquisto/vendita di titoli di Stato. In questa contingenza, la BCE sta acquistando titoli di Stato".
Quali sono stati i benefici economici, grazie al calo improvviso dello spread e all’impiego di una politica monetaria ultra espansiva, per il nostro Paese?
“Come argomentato precedentemente, l’annuncio del Presidente della Bce dell’irreversibilità dell’Euro e successivamente il quantitativo easing hanno trascinato in ribasso notevolmente lo spread. In questa maniera sono stati messi a riparo i debiti sovrani, degli Stati membri con alto debito pubblico, da eventuali speculazioni finanziari e di conseguenza l’Euro ha retto.
Ciò ha arrecato un consistente vantaggio, soprattutto a quei Paesi europei ad alto debito pubblico, compresa l’Italia. Infatti, i Paesi in questione hanno pagato, notevolmente, meno interessi sul debito pubblico, grazie a tassi di interessi bassissimi o prossimi allo zero. Inoltre, come noto dalla teoria economica, quando diminuisce il tasso d’interesse si crea un maggior stimolo verso gli investimenti e di conseguenza maggiore crescita, reddito e occupazione.
Sembra indispensabile affiancare, a tale politica economica monetaria, pure una politica di bilancio espansiva. Tuttavia, visti i vincoli stringenti posti dai Trattati dell’UE e le decisioni prese, in quest’ultimi anni, verso una politica di austerità, la manovra di politica monetaria ultra espansiva, da sola, avrà effetti limitati nell’area dell’eurozona, assicurando una crescita moderata.
I governi dovranno mettere in atto riforme strutturali, procedere verso una riqualificazione della spesa pubblica (tagliare la parte di spesa pubblica improduttiva e trasferirla verso gli investimenti pubblici. Tuttavia, l’Europa dovrà concedere maggiore flessibilità, soprattutto nella spesa per investimenti pubblici, e quindi un allentamento di tali vincoli restrittivi.
Accantonata l’austerità, messa in atto negli ultimi anni, attualmente si assiste a una politica di bilancio neutrale, nell’area euro, ma l’auspicio e che, nei prossimi anni, sia messa in atto una politica di bilancio espansiva per irrobustire la crescita economica (la crescita attuale nel nostro Paese, è contenuta! Per ritornare ai livelli pre-crisi, in termini di occupazione, s’impiegherà almeno un decennio). Infatti, un'eventuale politica di bilancio espansiva sarebbe giustificata dal fatto che il reddito effettivo e molto più basso dal reddito potenziale sia nel nostro Paese, sia in tutta l’area dell’Eurozona.
Inoltre, un’altra giustificazione alla politica di bilancio espansiva giunge dal fatto che l’inflazione per i prossimi anni resterà presumibilmente sotto il 2 per cento. In aggiunta, nell’ambito dell’ indagine trimestrale, di marzo, compiuta dalla Banca d’Italia in collaborazione con Il Sole 24 Ore, la variazione dei prezzi al consumo nell’orizzonte compreso tra i tre e i cinque anni si collocherebbe all’1,6 per cento”.
Per maggiori approfondimenti, in merito all’inflazione in Italia, è utile far riferimento alla relazione annuale - cento ventitreesimo esercizio (Banca d’Italia Eurosistema), paragrafo 9, pagina 105… Sito:
Le Istituzioni europee cosa hanno fatto per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani e per evitare
una crisi finanziaria sistemica dell’eurozona?
“Per affrontare la crisi dei debiti sovrani, e impedire il propagarsi di una crisi sistemica, le Istituzioni europee hanno deciso di intervenire creando una nuova governance che agisce su tre fronti:
istituzione del MES (MECCANISMO EUROPEO DI STABILITÀ) gestione dei fondi salva Stato. In caso di crisi di liquidità da parte di uno Stato, quest’ultimo può accedere per sopperire la mancanza di liquidità a tassi di interesse ragionevoli;
ogni stato se vuole ricevere l’assistenza finanziaria del fondo deve, dapprima ratificare il TSCG (TRATTATO SULLA STABILITÀ, SUL COORDINAMENTO E SULLA GOVERNANCE NELL’UNIONE ECONOMICA E MONETARIA). L’Italia ha aderito nel 2012, con la sua entrata in vigore il 1° gennaio 2013;
il coordinamento delle politiche economiche, seguite da una vigilanza preventiva cadenzata in più periodi nel semestre europeo, di cui vede coinvolti, a vari titoli e funzioni, la Commissione, il Consiglio europeo e l’Ecofin… e tutti gli Stati membri. Questi ultimi sottopongono alla Commissione il (PNR), il (PSC) e approvano il DEF, le loro leggi di bilancio, tenendo conto degli obiettivi di finanza pubblica, fissati dal Consiglio Europeo e delle raccomandazioni ricevute dalla menzionata Commissione”.
Sembra opportuno fare riferimento al sito, giù menzionato, e leggere l’articolo, tratto da internet. Inoltre, visionare, nel (TSCG), l’articolo che ha introdotto il fiscal compact.
Letto è interpretato l’articolo sottostante, è importante capire:
che cos’è il saldo strutturale;
differenza tra saldo strutturale e saldo effettivo;
come misura il saldo strutturale la Commissione europea.
Titolo dell'articolo: "Con l’approvazione del “Fiscal Compact”, abbiamo messo in Costituzione (Legge 243 del 2012) l’obbligo del pareggio di bilancio in termini “strutturali”.
L’Europa ha scelto di affidarsi alle regole contenuti nei Trattati. Ciò cosa significa?
“Dall’interpretazione dell’articolo si può comprendere la complessità di queste ultime regole della governance europea. L’ Europa, purtroppo, ancora una volta, ha scelto regole complesse, sempre più stringenti e non un bilancio federale con trasferimenti temporanei, che sarebbe l’alternativa voluta e richiesta da più economisti. Il passaggio verso un bilancio federale potrebbe essere la direzione dove puntare, per cambiare l’Europa da un punto di vista del funzionamento economico. Con il bilancio federale, in riferimento ad esperienze adottate da altri Stati, si riesce con maggiore facilità e tempestività a garantire nel tempo l’omogeneizzazione dei consumi e si agisce meglio è più in fretta nel ridurre gli shock asimmetrici che si possono presentare nell’area euro. La vera paura del bilancio federale è che i trasferimenti da temporanei diventino permanenti e questo non lo accetterebbe alcun Paese europeo".
È possibile una dimostrazione del rapporto causa-effetto che lega il debito pubblico e la crescita di un paese, poiché l’Italia ha raggiunto livelli altissimi nel 2016, il 132,6% in rapporto al PIL?
“In letteratura c’è un acceso dibattito e forti contrapposizioni tra gli economisti in merito alle teorie formulate e sui metodi di misurazione del debito pubblico. Tuttavia, suggerisco un approfondimento con apposite ricerche su tale tematica. Un forte contributo è stato fornito da due economisti (Rogoff e Reinhart). Quest’ultimi hanno dimostrato che tale nesso non è evidente se il debito pubblico non supera la soglia del 90% del Pil. A tal proposito, si consiglia la lettura di un articolo pertinente (Quel nesso da dimostrare tra debito e crescita) di Ugo Panizza e Andrea filippo Presbiterio.”
Fare riferimento al sito:
Il 31 maggio del 2017 è stata pubblicata la relazione annuale della Banca d’Italia. In vista di tale documento, il debito pubblico nel 2016 rispetto all’anno 2015 è aumentato o è diminuito?
"Come risulta noto, dalla relazione annuale in sintesi della banca d’Italia del 2016, il debito pubblico in relazione al rapporto al PIL è aumentato di mezzo punto, infatti dal 132,1, del 2015, è salito al 132,6 per cento del 2016. Si precisa che, nell’ultimo quinquennio, il debito pubblico è cresciuto di 16 punti. Tuttavia, nel 2016 è migliorato l’indebitamento netto del debito delle Amministrazione Pubbliche, perché è diminuito dal 2,7 al 2,4 per cento, grazie alla diminuzione degli oneri degli interessi e all’esito positivo dell’avanzo del saldo primario".
Quali sono le previsioni del debito pubblico nei prossimi anni?
"Il governo italiano ad aprile del 2017 ha redatto il DEF. In questo documento sono sancite le politiche economiche e finanziarie che intende adottare l’esecutivo, per il triennio 2018-2020 e ha presentato i programmi per i conti pubblici. Secondo tale previsione l’indebitamento netto scenderebbe nel 2018 all’1,2 per cento e nel 2019 si arriverebbe al pareggio di bilancio, in termini nominali e strutturali. Invece, Le previsioni dell’incidenza del debito pubblico, sul prodotto interno, migliorerebbe di poco, già dal 2017, un risultato migliore si otterrebbe nel 2018 e nel 2020 si arriverebbe al 125,7 per cento".
Conclusa l'analisi del debito pubblico italiano e della governance europea, si da luogo a un'attenta riflessione sull'esito della crescita economica.
Conclusa l'analisi del debito pubblico italiano e della governance europea, si da luogo a un'attenta riflessione sull'esito della crescita economica.
prima di compiere l'analisi sulla crescita è opportuno rivedere il concetto di ciclo in economia. Tuttavia, qui si propone un semplice accenno alla distinzione dei vari tipi di cicli: i cicli brevi hanno durata dai 2 ai 4 anni, denominati anche cicli di Kitchin (dal nome dell’economista inglese); i cicli propriamente detti, chiamati anche cicli di Juglar (dal nome dell’economista francese) durata variabile dai 4 ai 10 anni; i cicli lunghi o cicli di Kondratieff (economista Russo che riconobbe al capitalismo una stabilità di lungo periodo, in conflitto con le teorie comuniste e fu incriminato… Morì nel 1930 in un campo di concentramento sovietico in Siberia. Suggerisco un’approfondita ricerca su questo economista e, magari, per coloro i quali vogliono approfondire possono fare ricorso al suo libro: “The Long Waves in Economic Life”. Infatti, in letteratura si sta sviluppando un crescente interesse verso l’analisi dei cicli di lungo periodo).
Per comprendere l'amdamento dell'economia italiana è opportuno proporre delle rappresentazioni grafiche, delle principali variabili della macroeconomia. L'analisi dei dati, esportati dai siti dell'Istat e dalla Banca d'Italia, si riferisce al periodo dal 2007 al 2016 (in milioni di euro).
Il PIL è un indicatore che misura la ricchezza nazionale.
Da questa rappresentazione grafica risulta evidente la forte caduta del PIL fra il 2008 e il 2009 che ha dato luogo alla prima crisi, denominata crisi finanziaria… La doppia ricaduta avviene fra il 2012 e il 2013 e si entra nella seconda crisi, detta crisi dei debiti sovrani, che si è estesa soltanto in Europa e non negli USA. La debole ma continua crescita economica si persegue dal 2014 che porta a un’inversione del ciclo economico, ovvero verso una fase espansiva.
Spesa per consumi finali nazionali
Questa rappresentazione grafica dimostra che l’operatore famiglia, attraverso i consumi interni, è stato il principale operatore che ha effettivamente sostenuto la crescita italiana della domanda aggregata e quindi del Pil italiano.
Investimenti lordi
Questa rappresentazione grafica mette in luce dove si annidano le vere difficoltà del sistema economico italiano. Infatti, l’operatore impresa ha protratto nel tempo il volume degli investimenti e addirittura attualmente, si colloca su un livello che risulta inferiore rispetto al periodo pre-crisi. Tuttavia, un’ inversione di tendenza degli investimenti si riscontra a partire dal 2014 e quindi assistiamo a una debole ripresa degli investimenti.
Spesa per consumi finali delle amministrazioni pubbliche
Dall’analisi grafica è evidente l’impennata della spesa pubblica tra il 2008 e il 2009. Tale accrescimento è stato causato dalle spese correnti dovute principalmente ai trasferimenti: massiccio ricorso al finanziamento degli ammortizzatori sociali, a seguito la prima crisi, e il pagamento di ingenti somme d’interessi passivi. In quest’ultimo caso per il pesante debito pubblico dello Stato italiano. Invece, La spesa in conto capitale (realizzazione di infrastrutture) è rimasta quasi invariata o addirittura è diminuita. Come noto, in teoria economica, quest’ultima tipologia di spesa, a differenza della prima, grazie al meccanismo del moltiplicatore, produce effetti moltiplicativi nel reddito nazionale. Dal 2011 si assiste a un forte taglio della spesa pubblica (la famosa austerità molto voluta e imposta dalla UE, per la salvaguardia dei conti nazionali e la conseguenza tenuta dell’euro. Soprattutto per evitare il propagarsi di una nuova crisi finanziaria e sistemica all’interno dell’UEM. Infatti, dalla Grecia si avrebbe potuto espandere in Italia, portogallo e spagna, Paesi ad alto debito pubblico, per fortuna ciò non è accaduto). Tuttavia, un’inversione in aumento della spesa pubblica si registra a partire del 2015 con la fine del “famoso” periodo di austerità.
Occupati (valori in migliaia); occupazione per branca di attività economica (NACE Rev. 2) - dati nazionali annuali I.Stat export; totale di tutte le attività economiche
Come affermato precedentemente, l’attuale crescita debole del sistema economico Italiano è supportata principalmente dai consumi interni, invece i volumi degli investimenti privati e pubblici sono decresciuti, solo da circa due anni a questa parte hanno cambiato rotta. Infatti il processo d’investimenti è strettamente connesso con l’occupazione. Di conseguenza, per aumentare l’occupazione italiana si deve accrescere il livello d’investimenti. Esempio l’acquisto di un nuovo impianto industriale comporta obbligatoriamente nuove assunzioni. Il grafico mostra l’inarrestabile calo di occupazione dal 2008. L’inversione di tendenza si consegue dal 2014. Tuttavia, è da precisare che, attualmente, nonostante la crescita occupazionale, non si è raggiunto il livello occupazionale pre-crisi e la disoccupazione viaggia con un tasso di poco sopra all’11%. Infatti, l’andamento degli investimenti riflette notevolmente sull’occupazione di nuovi posti di lavoro nei vari ambiti delle attività economiche.
Esportazioni beni (fob) e servizi
importazioni di beni e servizi fob
BDP – Saldi - Conto corrente - Totale economia
Questa rappresentazione grafica è la sintesi dei due grafici precedenti. Mette in luce l’andamento del saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti. Analizzando il grafico l’Italia procede all’aggiustamento della propria bilancia dei pagamenti dal 2010/11, i saldi positivi si conseguono dal 2013. Prima e durante la prima crisi l’Italia e i paesi del sud Europa si trovavano in uno squilibrio commerciale rispetto ai paesi core del nord Europa. I primi perseveravano in saldi passivi, mentre i secondi registravano e registrano eccessivi saldi attivi (soprattutto la Germania). Quest’ultimi non hanno proceduto a una correzione. Invece i Paesi del sud, soprattutto la Spagna hanno apportato consistenti correzioni, regolarizzando le loro bilance di pagamento.
Sintetizzando, dall’ analisi degli indicatori delle variabili di macroeconomia, si dimostra che nel nostro Paese si è propagata una modesta ripresa economica. quest’ultima stimolata dalla potentissima e azzeccata, anche se tardiva, politica monetaria ultra espansiva posta in essere dalla BCE, grazie al forte impegno del presidente Mario Draghi e supportata da politiche di bilancio che in questi ultimi tre anni, sono state in parte corrette, ma si avrebbe potuto fare di più.
È giusto far emergere la nota positiva dei consumi interni che sono proprio quest’ultimi, principalmente, a trainare la ripresa economica e anche, in misura minore, la bilancia commerciale che a partire dal 2010/11 si è conseguito un aggiustamento registrando saldi positivi a partire dal 2012/13 tuttora consolidati. La correzione è avvenuta in una prima fase, tramite la riduzione delle importazioni, dopo con le esportazioni. Questi due dati (consumi interni ed esteri) hanno contribuito a spingere verso l’alto la domanda aggregata e di conseguenza il Pil.
Tuttavia, gli investimenti non sono ritornati, ancora, a livelli del 2007 del periodo pre-crisi. Si assiste a una loro debolissima crescita. Come noto dalla teoria economica, quando il reddito effettivo e inferiore al reddito potenziale, all’aumentare degli investimenti privati/pubblici si realizzano effetti moltiplicativi sul reddito nazionale. L’ampiezza, di tali effetti moltiplicativi sul reddito nazionale, dipende dalla propensione al consumo della collettività.
I problemi più consistenti che affliggono l’economia italiana sono: la disoccupazione che resta alta (oltre l’11%); il debito pubblico è altissimo! (132,6 il secondo in Europa dopo la Grecia); gli investimenti non crescono nella maniera dovuta e principalmente per questo la crescita economica resta di modesta entità.
Accertato che in Italia gli investimenti, interni, delle imprese e gli investimenti diretti dall’estero (IDE) non crescono. quali sono le motivazioni che influiscono in maniera non positiva su uno dei componenti che rende molto instabile la domanda aggregata?
"I motivi che scoraggiano gli investimenti privati in Italia sono parecchi e si potrebbe stilare una lista abbastanza estesa, ma i principali ostacoli sono i seguenti:
• la presenza di un’elevata pressione tributaria e contributiva/parafiscale;
• la lungaggine dei processi civili;
• l’instabilità politica;
• il fenomeno corruttivo (per quest’ultimo aspetto si faccia riferimento al seguente link, dove il giudice Davigo spiega la complessità e la gravità di tale fenomeno http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/17_febbraio_12/piercamillo-davigo-a-25-anni-mani-pulite-l-italia-ancora-piu-corrotta-82184580-f166-11e6-b184-a53bdb4964d9.shtml);
• la burocrazia dirompente;
• la mancanza di forte dinamiche e sinergie all’interno dei non molti distretti e rete d’imprese;
• i ritardi nella digitalizzazione della Pubblica amministrazione;
• la rigidità nel mercato del lavoro;
• la mancanza di una borsa lavoro centrale, ma tante borse regionali che stentano a scambiare tra loro i dati e che complicano l’incontro della domanda e dell’offerta nel mercato del lavoro;
• poca formazione professionale. Ricordando l’art.35 della Costituzione che argomenta in merito, nel nostro Paese non si è investito molto e nemmeno c’è una spiccata cultura verso la formazione nel pubblico impiego. Inoltre, il sistema economico italiano è
caratterizzato da una polverizzazione di micro e piccole imprese. Quest’ultime
sono molto restie a trovare forme di aggregazione per fronteggiare la complessa
tematica della globalizzazione in atto. Esse non solo non curano intensivamente
la formazione, ma non consentono al dipendente né un ricco ampliamento della
mansione (job enlargement),
né una mobilità in senso verticale del lavoratore (job enrichment)”.
In merito all'argomento della globalizzazione, accertata la sua complessità e importanza, è opportuno approfondire e trarre maggiori informazioni. Si rinvia alla registrazione video e alle diapositive, del professor Andrea Fracasso ("La globalizzazione", lezione del 23-01-2015) al seguente sito:
Individuate le problematiche che frenano gli investimenti, in Italia si aggiunge un'altra delicata tematica, il fattore educativo. Nel nostro Paese come stanno le cose in merito a quest'ultimo aspetto?
"La vera problematica nel nostro Paese, oltre al mancato aumento degli investimenti che vincolano la crescita del sistema produttivo, è la questione educativa. Da più osservatori vengono menzionate affermazioni: "L’Italia resta tra Paesi, dell’area OCSE, ha più bassi tassi di istruzione, sia secondaria sia terziaria, contemporaneamente riporta la più bassa incidenza alla formazione professionale, pure bassi sono gli indici di investimento in ricerca e sviluppo, i laureati ricevono tra le remunerazione più basse e non svolgono a pieno titolo le mansione lavorative in riferimento al loro titolo di studio e parecchi di loro si trovano costretti ad abbandonare il Paese". Per la nostra Nazione, il basso livello di capitale umano, costituisce uno dei problemi che spiega largamente la perdita di competitività dell’Italia".
In merito all'argomento della globalizzazione, accertata la sua complessità e importanza, è opportuno approfondire e trarre maggiori informazioni. Si rinvia alla registrazione video e alle diapositive, del professor Andrea Fracasso ("La globalizzazione", lezione del 23-01-2015) al seguente sito:
Individuate le problematiche che frenano gli investimenti, in Italia si aggiunge un'altra delicata tematica, il fattore educativo. Nel nostro Paese come stanno le cose in merito a quest'ultimo aspetto?
"La vera problematica nel nostro Paese, oltre al mancato aumento degli investimenti che vincolano la crescita del sistema produttivo, è la questione educativa. Da più osservatori vengono menzionate affermazioni: "L’Italia resta tra Paesi, dell’area OCSE, ha più bassi tassi di istruzione, sia secondaria sia terziaria, contemporaneamente riporta la più bassa incidenza alla formazione professionale, pure bassi sono gli indici di investimento in ricerca e sviluppo, i laureati ricevono tra le remunerazione più basse e non svolgono a pieno titolo le mansione lavorative in riferimento al loro titolo di studio e parecchi di loro si trovano costretti ad abbandonare il Paese". Per la nostra Nazione, il basso livello di capitale umano, costituisce uno dei problemi che spiega largamente la perdita di competitività dell’Italia".
In conclusione, per abbattere il debito pubblico e puntare su una crescita economica più consistente, appare necessario procedere verso una tempestiva razionalizzazione e un taglio della spesa pubblica improduttiva e contemporaneamente attuare la stagione delle privatizzazioni, delle dismissioni immobiliari e riformare lo Stato, gli enti territoriali e gli enti non territoriali per farli funzionare a costi più bassi e con maggiore efficienza. Ovvio, che l’auspicio più grande rimane una crescita economica robusta e consolidata che automaticamente riduce il debito pubblico (la crescita del 4% del PIL, nel breve periodo, è soltanto un miraggio in base alle previsioni fornite da Banca d'Italia) e rapidamente, nell'arco di 4 - 5 anni, abbassa il tasso di disoccupazione ritornando ai livelli del 2007, pre-crisi.
In un sistema economico a economia mista a creare e distribuire ricchezza, oltre al mercato, deve contribuire anche lo Stato, tramite una politica legislativa e di governo in ottemperanza al principio lavorista contenuto nell’art. 4 della Costituzione che dovrà materializzarsi in una giusta politica di bilancio. In quest’ultimo caso, le autorità governative devono porre in essere le scelte più appropriate in termini di politica economica e non verso politiche elettorali alla ricerca del consenso.
Dedotto che gli investimenti non crescono, come dovuto, sarebbe ottimale incentivare le imprese a investire. La via più corretta è abbassare la pressione contributiva, attraverso la fiscalizzazione degli oneri sociali alle imprese. Una nota di apprezzamento va rivolta al super ammortamento che per fortuna è stato prorogato anche per il 2018.
Tuttavia, È noto che le imprese italiane hanno un carico contributivo elevato. Ciò non permette, a quest’ultime, di essere competitive, pienamente, nel commercio internazionale rispetto alle altre imprese europee. Infatti, ad esempio le imprese tedesche godono di un prelievo contributivo e tributario inferiore rispetto a quelle italiane.
Dall' esame della competitività del costo del lavoro per unità prodotta tra l’Italia e la Germania ci si accorge, dai dati statistici, che quest’ultima ha esercitato una forte pressione di competitiva, addirittura si è spinta in una deflazione competitiva. Invece, in Italia, e in tanti altri paesi europei, il costo del lavoro sia prima della crisi, sia dopo la crisi e rimasto più alto, rispetto alla Germania, addirittura oltrepassando il famoso 2% del tasso d’inflazione stabilito dalla BCE. Per questo meccanismo le imprese tedesche erano e sono avvantaggiate.
Da ciò, si può spiegare, in parte, il surplus eccessivo, nella misura del 8%, della bilancia commerciale della Germania. Peraltro, l’esagerata percentuale di surplus, del saldo della bilancia commerciale, della Germania è contrastante alle regole del Trattato UE.
Dedotto che gli investimenti non crescono, come dovuto, sarebbe ottimale incentivare le imprese a investire. La via più corretta è abbassare la pressione contributiva, attraverso la fiscalizzazione degli oneri sociali alle imprese. Una nota di apprezzamento va rivolta al super ammortamento che per fortuna è stato prorogato anche per il 2018.
Tuttavia, È noto che le imprese italiane hanno un carico contributivo elevato. Ciò non permette, a quest’ultime, di essere competitive, pienamente, nel commercio internazionale rispetto alle altre imprese europee. Infatti, ad esempio le imprese tedesche godono di un prelievo contributivo e tributario inferiore rispetto a quelle italiane.
Dall' esame della competitività del costo del lavoro per unità prodotta tra l’Italia e la Germania ci si accorge, dai dati statistici, che quest’ultima ha esercitato una forte pressione di competitiva, addirittura si è spinta in una deflazione competitiva. Invece, in Italia, e in tanti altri paesi europei, il costo del lavoro sia prima della crisi, sia dopo la crisi e rimasto più alto, rispetto alla Germania, addirittura oltrepassando il famoso 2% del tasso d’inflazione stabilito dalla BCE. Per questo meccanismo le imprese tedesche erano e sono avvantaggiate.
Da ciò, si può spiegare, in parte, il surplus eccessivo, nella misura del 8%, della bilancia commerciale della Germania. Peraltro, l’esagerata percentuale di surplus, del saldo della bilancia commerciale, della Germania è contrastante alle regole del Trattato UE.
Fino ad oggi nessuna forza politica, in vista delle future elezione di marzo, ha manifestato la volontà di voler mettere in atto un piano di risanamento della finanza pubblica, non tanto per accontentare le richieste dell’UE, ma per rendere il Paese più credibile e più sicuro agli occhi degli operatori internazionali. inoltre i tassi d’interesse non rimarranno per sempre così bassi e lo spread non tarderà a fare la sua comparsa. L’aggravio degli interessi passivi, sull’enorme debito pubblico, come al solito bloccherà la crescita economica, salvo che non ci sia il taglio del debito pubblico.
Invece, tutte o quasi tutte le forze politiche, sapendo che in Italia esistono dai quattro ai 6 milioni di cittadini/elettori che si trovano in uno stato di povertà assoluta e relativa, promettono massicci trasferimenti in termini di sussidi. Questi trasferimenti si ripercuoteranno, di conseguenza, totalmente o quasi nell’incremento dei consumi. Sapendo a priori che proprio il consumo delle famiglie è l’unico dato macroeconomico che sta crescendo e non necessita, come gli investimenti, di un supporto così massiccio (con tutto rispetto e apprensione alle persone bisognose che si trovano in una situazione di avversità e di estrema difficoltà economica, per loro la soluzione più corretta e dignitosa credo, fermamente, che non sia il sussidio, che ha carattere temporaneo, ma l’ingresso nel mercato del lavoro).
In ogni caso, si ponga di voler aiutare a rimuovere gli ostacoli dei più deboli, come risulta sancito dalla Costituzione, art. 3 comma 2. Ovvero, intervenire su quelle persone che sono penalizzate dal mercato e si trovano in una situazione di disaggio economico espressa precedentemente. Come si fa materialmente a sostenerli tutti? Un debito pubblico altissimo! Nella misura del 132,6; un sistema pensionistico da finanziare, aggravato da due assillanti problemi l’allungamento della vita media e una disoccupazione alta; una pressione tributaria tra le più alte in Europa.
Ho apprezzato sia da cittadino, sia da studioso di economia il messaggio di fine anno del Capo dello Stato. Infatti, in una parte del discorso ha invitato, in vista delle future elezioni a marzo, le forze politiche a formulare delle scelte politiche adeguate e razionali a favore del Paese, annunciando:
“Il dovere di proposte adeguate - proposte realistiche e concrete - è fortemente richiesto dalla dimensione dei problemi del nostro Paese.
Invece, tutte o quasi tutte le forze politiche, sapendo che in Italia esistono dai quattro ai 6 milioni di cittadini/elettori che si trovano in uno stato di povertà assoluta e relativa, promettono massicci trasferimenti in termini di sussidi. Questi trasferimenti si ripercuoteranno, di conseguenza, totalmente o quasi nell’incremento dei consumi. Sapendo a priori che proprio il consumo delle famiglie è l’unico dato macroeconomico che sta crescendo e non necessita, come gli investimenti, di un supporto così massiccio (con tutto rispetto e apprensione alle persone bisognose che si trovano in una situazione di avversità e di estrema difficoltà economica, per loro la soluzione più corretta e dignitosa credo, fermamente, che non sia il sussidio, che ha carattere temporaneo, ma l’ingresso nel mercato del lavoro).
In ogni caso, si ponga di voler aiutare a rimuovere gli ostacoli dei più deboli, come risulta sancito dalla Costituzione, art. 3 comma 2. Ovvero, intervenire su quelle persone che sono penalizzate dal mercato e si trovano in una situazione di disaggio economico espressa precedentemente. Come si fa materialmente a sostenerli tutti? Un debito pubblico altissimo! Nella misura del 132,6; un sistema pensionistico da finanziare, aggravato da due assillanti problemi l’allungamento della vita media e una disoccupazione alta; una pressione tributaria tra le più alte in Europa.
Ho apprezzato sia da cittadino, sia da studioso di economia il messaggio di fine anno del Capo dello Stato. Infatti, in una parte del discorso ha invitato, in vista delle future elezioni a marzo, le forze politiche a formulare delle scelte politiche adeguate e razionali a favore del Paese, annunciando:
“Il dovere di proposte adeguate - proposte realistiche e concrete - è fortemente richiesto dalla dimensione dei problemi del nostro Paese.
Non è mio compito formulare indicazioni.
Mi limito a sottolineare, ancora una volta, che il lavoro resta la prima, e la più grave, questione sociale. Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro. E' necessario che ve ne sia in ogni famiglia. Al tempo stesso va garantita la tutela dei diritti e la sicurezza, per tutti coloro che lavorano.”
Questo articolo e il mio piccolo baby… Spero che sia gradevole, interessante e formativo. Dedicato a tutti gli appassionati di economia e a una persona che ha creduto e spero che continui a credere in me.
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